di Marco Lofino
La carriera oltre che la vita di Elvis è come una corsa a tappe con ricordi che restano indelebili nella memoria di chi lo ama e ancor oggi lo celebra come è giusto e doveroso che sia.
Nemmeno il tempo di assaporare il dolce sapore dei festeggiamenti per il suo ottantesimo compleanno, solo pochi giorni fa, ed oggi ci ritroviamo a celebrare uno dei momenti della sua vita oltre che della sua carriera che hanno segnato come pochi altri non solo il consolidamento del suo mito, ma anche e soprattutto la storia dello spettacolo e della musica
Quarantadue anni fa oggi Elvis si esibiva in diretta via Satellite ad Honolulu in quello che tutti conosciamo come l’“Aloha From Hawaii”ed è, mi sia consentita la metafora ciclistica con cui ho aperto questo mio contributo, una delle sue più grandi vittorie di tappa, come una scalata trionfale di Coppi e Bartali sul Pordoi, tanto per rendere l’epicità del momento. Elvis, di fatto, trionfa a braccia aperte, in ginocchio davanti al suo pubblico, ergendosi a leggenda vivente dello spettacolo riuscendo per primo, ancora una volta, in quello che nessun altro prima di lui era riuscito a fare: catturare il consenso televisivo di una platea addirittura superiore a quella dello sbarco sulla luna. Le cifre parlano di un miliardo e mezzo di telespettatori, la maggior parte degli stati asiatici lo videro in diretta, alcuni europei il giorno dopo, in America dovettero aspettare addirittura tre mesi. Al di là dei numeri, al di là delle statistiche, parliamo di qualcosa di assolutamente impensabile per l’epoca, un trionfo senza precedenti, un’emozione aggiunta alle mille altre che aveva già regalato al suo pubblico nell’arco della sua carriera al momento poco meno che ventennale.
L’Elvis dell’Aloha è la superstar per eccellenza senza sbavature. Un misto tra pulizia e perfezione vocale da farlo sembrare un disco in studio ( ma come ben sappiamo per Elvis non c’era nessuna differenza, non ha mai avuto bisogno di questi trucchetti) e l’immagine di un super eroe in assoluto controllo della scena e dello spettacolo. L’Elvis dell’Aloha è solennità, per non dire regalità, al di là della corona che gli viene consegnata alla fine dello spettacolo, al di là dell’abito che Bill Belew gli creò ad hoc per ricordare gli Stati Uniti nel mondo. Elvis dell’Aloha è quasi perfetto.
Ci sono momenti, situazioni, istanti che ognuno di noi sente come propri nel ricordare questo evento della carriera di Elvis. Forse non sarà stato il suo concerto migliore, ma è senza alcun dubbio il suo spettacolo più “iconografico”, l’immagine di Elvis in mondovisione , le scritte in tutte le lingue dietro di lui, il suo arrivo in elicottero, ebbene quella diapositiva è ferma nella memoria e nei cuori di tutti noi, un insieme di istantanee ripetute e diversificate che occupano la durata dello spettacolo nella sua interezza, mi riferisco ad esempio allo sguardo fermo e concentrato durante l’esecuzione di “You Gave Me A Mountain”, al suo sorriso spontaneo, come sempre, durante il finale di “Steamroller Blues” e i brividi sulla pelle che ancor oggi fa provare quando canta l’amore come nessun altro, vedi “What Now My Love” o la triste ballata “It’s Over”.
L’Elvis dell’Aloha è epico nel suo trascinare la band durante il finale di American Trilogy. Quella goccia di sudore che cade nella fierezza del suo sguardo, quel pugno al cielo rivolto all’orchestra di Joe Guercio come a dire, “ragazzi ci siamo, è il nostro momento”. Se mi è concessa una considerazione personale, dico che quel momento dell’Aloha è quello che sento più mio nella manifestazione di Elvis al massimo della sua umanità, apoteosi assoluta del suo mito vivente.
Un brivido lungo la schiena della durata di un’ora , il solito incredibile mix sensoriale di voce, carisma, e presenza scenica. Il solito Elvis, unico, impareggiabile, inarrivabile forse pure per se stesso.
In mezzo a tutto questo non manca il ritorno alle origini, al rock and roll, la mai da lui troppo amata “Burning Love” e l’elettrizzante “A Big Hunk Of Love” passando per il triste country di “I’m So Lonesome I Could Cry”. E’ questo che rende unico Elvis anche in questa tappa fondamentale del suo percorso artistico: la sua trasversalità, la sua unica capacità di spaziare da un genere all’altro come se fosse la cosa più semplice e naturale del mondo. Ovviamente, lo era solo per lui.
I più informati sicuramente sanno che due giorni prima venne effettuata una prova dello spettacolo aperta al pubblico, con un Elvis che mostra qualche umana titubanza dovuta alla naturale tensione per un evento così importante ed un crocevia incredibile per la sua carriera. Malgrado ciò, lo spettacolo di prova è assai godibile e noi appassionati possiamo fregiarci di avere una doppia simil copia di un gioiello unico, ed è questo un altro grande regalo che forse inconsapevolmente Elvis ci ha lasciato per farlo sentire, semmai fosse possibile, ancor più vicino a noi.
Allo stesso modo ricordiamo i brani eseguiti in scena e senza il pubblico cantati per la versione americana ed eseguiti a spettacolo appena concluso. Sono momenti che chi ama Elvis custodisce con gelosia ed infinito affetto, perchè in essi vedi l’uomo al di là dell’artista, rilassato seppur stanco, indubbiamente, professionista serio e ligio al dovere, la sua voce nel buio della sala a deliziarci con le canzoni di sapore hawaiano tanto per regalarci un altro sogno, per solleticare ulteriormente il nostro palato mai sazio della sua pietanza prelibata.
Chissà se nella sua testa, dopo quel giorno, c’erano altre sfide pronte, altre scalate memorabili da effettuare, al di là della solita routine all’Hilton e delle tourneè. Non lo sapremo mai. Quello che possiamo sapere però, quello di cui siamo certi, è che ancor oggi l’Aloha ci conferma che nessuno come lui è in grado di regalare emozioni, passioni, e gioia in chi lo ascolta e lo vede in quel legame unico e magico che unisce indissolubilmente Elvis ai suoi fan.
Buon Aloha From Hawaii a tutti.