Ciao amici
Iniziamo oggi un viaggio musicale, fra terra e cielo, all’interno di alcune delle canzoni di Elvis cercando di fondere, per quanto possibile, la voce del nostro eroe alle parole delle canzoni da lui interpretate, perché, come ben sappiamo, Elvis non solo cantava le canzoni scritte da altri ma faceva
diventare suoi i pezzi altrui, li viveva in quel momento con la sua voce come se fossero stati scritti da lui, e spesso li rinnovava mettendoci il suo indelebile marchio di fabbrica tanto da far quasi dimenticare le versioni originali.
Un esempio su tutti? My Way. Da sempre, peraltro giustamente considerata il cavallo di battaglia per eccellenza di Frank Sinatra. La versione di Elvis è l’unica in grado di reggere il passo, se non superare (a mio parere la supera di gran lunga, ma sono di parte ovviamente) quella del vecchio Frank.
Ma questa è tutt’altra storia. Quella di cui vi vorrei parlare oggi è umida, grigia, cupa, con nuvole cariche di pioggia, è una storia che sa di inseguimenti, di perdita, di riconquista, di consigli, di paure, di avvistamenti, di preghiere, di gioia e dolore sotto la fredda pioggia del Kentucky.
Iniziamo il nostro viaggio con la stupenda “Kentucky Rain”, uno dei gioielli più luccicanti delle leggendarie Memphis Sessions, incisa, per gli amanti della storia presleiana, il 19 febbraio del 1969 e pubblicata su disco
(il lato B la bellissima “My Little Friend”) il 20 febbraio dell’anno successivo.
Il brano, pur avendo ottenuto un grande successo, non ebbe forse quel riscontro di vendita che avrebbe meritato per la sua indiscutibile grandezza, figlio della discutibile gestione commerciale delle uscite
discografiche che iniziarono in quel periodo fino a tutto il 1977.
Elvis la cantò dal vivo solo nella prima stagione a Las Vegas del gennaio febbraio 1970, e se non ricordo male nei concerti di Houston all’Astrodome del marzo 1970. Poi il pezzo sparì purtroppo dalla scaletta.
La versione in studio, che vi invito ad ascoltare in cuffia, in silenzio, magari al buio con un filo di luce soffusa ed un buon grappino a riscaldarvi dentro, resta a mio modesto avviso la migliore e con essa ci accingiamo
ad accompagnare Elvis, sotto la pioggia fredda del Kentucky, alla ricerca dell’amore perduto.
“Seven lonely days and a dozen towns ago
I reached out one night and you were gone
Don’t know why you’d run, what you’re running to or from
All I know is I want to bring you home”
“Sette giorni solitari e una dozzina di città passate (ergo percorse)
Mi sono avvicinato, una notte, e te ne eri andata
Non so perché sei scappata, da chi stai scappando o da cosa
Ma ciò che so è che voglio riportarti a casa”
Nell’ultimo verso si percepisce la maggior enfasi di Elvis nel sottolineare la volontà di riportare a casa la sua amata inaspettatamente fuggita, non si sa dove, non si sa perché. Le voce di Elvis si lega per la prima volta
meravigliosamente al testo, utilizzando quella che inglese si chiama “emphasis” come figura retorica. Elvis non lo fa da scrittore, lo fa cantando, alla sua maniera.
Ho scritto la sua amata non riferendomi necessariamente alla persona Elvis, ma all’immedesimazione assoluta che Elvis aveva nel suo modo di interpretare le canzoni. Elvis non cantava e basta, Elvis riviveva i brani, è stato il primo storyteller, anzi direi storysinger in musica.
“So I’m walkin’ in the rain
Thumbin’ for a ride
On this lonely Kentucky back road
I’ve loved you much too long
My love’s too strong
To let you go, never knowing what went wrong”
“Ed è cosi che cammino sotto la pioggia
In attesa di un passaggio facendo l’autostop
In questa strada deserta ed isolata del Kentucky
Ti ho amata troppo ed il mio amore è ancora troppo forte
Per lasciarti andare senza sapere cosa non ha funzionato”
Anche qui l’abilità consumata dell’artista Presley si mescola in maniera fluida, naturale quanto incredibile al suo entrare in pieno possesso animico del pezzo, sempre nell’ultimo verso, in cui sale con la voce quasi ad
evidenziare il passaggio chiave “never knowing what went wrong”.
Il testo parla di una continua ricerca, di una rincorsa, fra speranza e sgomento, sotto la pioggia del Kentucky
“Kentucky rain keeps pouring down
And up aheads another town that I’ll go walkin’ through
With the rain in my shoes
Searching for you
In the cold Kentucky rain
In the cold Kentucky rain”
“La pioggia del Kentucky scende incessante
E più avanti ci sarà un’altra città che attraverserò
Con la pioggia dentro le mie scarpe
Alla ricerca di te
Nella fredda pioggia del Kentucky”
Che meraviglia questo passaggio che è un prodigio di tecnica vocale di Elvis Presley che risale repentinamente, “kentucky rain keeps pouring down”, per fermarsi improvvisamente , allo stesso modo in cui si ferma appena incontra una nuova città, interrompendo la sua voce quasi sussurando, “with the rain in my shoes”… per poi di nuovo risalire enfatizzando al massimo la fine di questo suo viaggio vocale, “searching for youuuu”. Insuperabile
“Showed your photograph
To some old grey bearded men
Sitting on a bench outside a gen’ral store
They said Yes, she’s been here
But their mem’ry wasn’t clear
Was it yesterday? No wait, the day before”
“Ho mostrato la tua foto
Ad alcuni anziani con la barba brizzolata
Seduti su una panchina fuori da un mercato generale
Mi hanno detto “si, è stata qui”
Ma i loro ricordi erano vaghi
“E’ stato ieri? No, aspetta, l’altro ieri.”
Un passaggio che è una storia,scritta con passione da Eddie Rabbitt e che solo Elvis Presley con la sua voce poteva rendere cosi vivido e pregnante di significato agli occhi di legge e soprattutto, visto che si parla dell’uomo di Memphis, alle orecchie di chi ascolta.
Sostanzialmente Elvis, con la sua voce, riesce a trasmettere le sensazioni a pelle di quell’incontro con gli anziani del mercato generale, i loro ricordi inevitabilmente confusi con la certezza mista ad illusione che lei era passata di li, ma sarà stato ieri? No, il giorno prima, e ancora una volta Elvis, con la sua voce, enfatizza il punto focale, trattandosi del giorno prima e del fatto che il suo viaggio alla ricerca della sua amata lungi dall’essersi concluso
“Fin’lly got a ride
With a preacher man who asked
Where’re you bound on such a cold, dark afternoon?
As we drove on through the rain
As he listened I explained
And he left me with a prayer that I’d find you”
“Alla fine ho raccattato un passaggio da un predicatore
Che mi chiese: “ma dove vai in un pomeriggio cosi freddo e buio?”
Mentre guidavamo sotto la pioggia
Nel mentre lui ascoltava e io gli spiegavo
E mi lasciò con una preghierà affinchè io ti trovassi”
La capacità di Elvis di raccontare questa storia si fa sempre più emozionante ed elettrizzante nel riuscire a cantare un dialogo. E credetemi, non devo dirvelo io, è difficilissimo, perché non solo canta alla sua
maniera, ma riesce a trasporre i dialoghi stessi in una storia musicata rendendo il tutto cosi meravigliosamente reale, il botta e risposta, come lo potete immaginare, col predicatore che gli chiese che ci facesse in una giornata cosi in giro e lui che gli raccontava tutta la storia di questa ragazza, del suo amore perduto nella disperata ricerca di essere ritrovato, con l’aiuto della preghiera del predicatore, e sempre, come sempre, con l’enfasi interpretativa dell’ultimo verso “with a prayer that I’d find you”
“Kentucky rain keeps pouring down
And up aheads another town that I’ll go walkin’ through
With the rain in my shoes
Searching for you
In the cold Kentucky rain
In the cold Kentucky rain”
Ed il gran finale, nella ripresa della terza strofa, con Elvis totalmente coinvolto in questa ricerca sotto la pioggia, giorno dopo giorno, città dopo città, sotto la pioggia del Kentucky, con un continuo saliscendi vocale quasi ad evidenziare i differenti stati d’animo, il senso di illusoria felicità e la speranza di ritrovare l’amore perduto.
“Kentucky rain keeps pouring down
And up aheads another town that I’ll go walkin’ through
With the rain in my shoes
Searching for you
In the cold Kentucky rain
In the cold Kentucky rain
In the cold Kentucky rain hey hey hey
In the cold Kentucky rain
In the cold Kentucky rain hey hey hey
In the cold Kentucky rain”
Non devo aggiungere altro. Solo Elvis Presley poteva raccontare in musica, con la sua voce inconfondibile ed assolutamente insuperabile per chiunque, una storia così intensa, fra cadute e risalite, illusioni e delusioni, con la speranza che ritorni il sole dopo la fredda pioggia del Kentucky, facendoti immedesimare in essa momento dopo momento, strofa dopo strofa.
Questo è un trattato di tecnica vocale da imparare nelle scuole di canto. Elvis Presley andrebbe apprezzato per tutto questo e non solo per la sua leggenda incontestabile che tutti conoscono. Quello che non tutti
conoscono è la sua grandezza oltre quello che si vede e si sente. Lo si dovrebbe fare attraverso quello che io chiamo studio animico della sua arte, ovvero il buttarsi anima e corpo alla scoperta della sua arte
lasciandosi accarezzare dentro dalla sua voce e scoprendo la sua abilità oltre le sue indiscutibili capacità vocali.
E’ la magia di Elvis Presley ed è il motivo per cui chi vi scrive lo fa da vent’anni con amore e passione.
Ci vediamo alla prossima storia in musica cantata da Elvis Presley.
Viva Elvis sempre amici.