Nell’immaginario collettivo degli appassionati di Elvis l’Aloha From Hawaii è un momento magico.
Per alcuni aspetti, legati alla sua carriera e a tutto lo spettacolo nella sua interezza, potremmo definirlo come il “momento perfetto”.
Ce ne sono tanti nella carriera di Elvis, ma forse nessuno come l’”Aloha” presenta un insieme di caratteristiche tali da renderlo unico ed irripetibile.
A cinquantadue anni esatti dalla sua messa in onda (gli Stati Uniti lo videro tre mesi dopo e fu record di audience all’epoca per la tv americana) si resta sempre meravigliati e colpiti dal connubio fra emozioni visive e sonore che Elvis regalò al suo pubblico.
Si è disquisito migliaia di volte, fra appassionati e non, sul valore in sé dello spettacolo. E’ un concerto di alto livello, con tutta probabilità non il migliore della sua carriera ma di sicuro quello in cui raggiunse l’apice della sua maturità artistica.
E’ uno spettacolo con un Elvis chiaramente “controllato” per esigenze televisive rispetto a quelli che ammiriamo un anno prima nell’On Tour, ma fu il tipo di show che voleva realizzare e così fu.
Ogni appassionato di Elvis avrà visto decine, se non centinaia (o addirittura migliaia) di volte l’Aloha From Hawaii. Con esso anche la “dress rehearsal” di due giorni prima, scambiando opinioni e sondaggi su quale dei due concerti fosse più gradito.
Nello show di prova del 12 gennaio sono presenti alcune fisiologiche ed umane sbavature nell’esecuzione di qualche brano, pensiamo a “Burning Love”, a “Steamroller Blues”, a “Welcome To My World”, a “Suspicious Minds” con un evidente ritardo nel finale con Elvis che si volta verso Ronnie Tutt e poi comunque sorride, perché quello che aveva sempre contraddistinto Elvis è stata l’umiltà anche quando era lui a sbagliare, tipo in “Burning Love”, tanto che alla fine esclama “I forgot all the words” (trad “mi sono dimenticato tutte le parole”) ma senza intaccare in assoluto la trascinante resa del brano.
Un re umile, sincero ed onesto. Anche per questo l’Aloha From Hawaii è il “momento perfetto”.
Elvis aveva una tale grandezza ed umiltà da rendere meraviglioso agli occhi e alle orecchie dei suoi appassionati un prodotto non ancora finito, tanto che la prova col pubblico del 12 viene persino più apprezzata da molti fan rispetto allo show in mondovisione del 14 gennaio.
La storia racconta che due giorni dopo Elvis consegna al mondo un prodotto finito, praticamente perfetto, impeccabile, inattaccabile. E lo fa riuscendo a mescolare in maniera insuperabile gli ingredienti di questo prodotto con una serie di momenti epici, amalgamati in modo tale da creare il “momento perfetto”.
Il suo conclamato perfezionismo lo porta a un livello di concentrazione elevatissimo. Se si osserva il suo sguardo si carpisce quanto nei suoi occhi vivesse quello che cantasse. Se si osserva l’immagine che rimane ferma sul suo primo piano durante la seconda parte di “You Gave Me A Mountain” si comprende come il messaggio dovesse arrivare ed essere trasmesso, in un rapporto di reciprocità totale ed assoluta fra Elvis, il suo pubblico ed i suoi musicisti.
Ce ne sono parecchi nell’Aloha From Hawaii. Sono dei momenti perfetti all’interno del momento perfetto.
Ci si trova di fronte ad interpretazioni di livello “siderale” dal punto di vista vocale, scenico ed interpretativo. Ripensiamo a “You Gave Me A Mountain”, “My Way”, “What Now My Love” e “American Trilogy” (ce ne sono ovviamente anche altre) .
Sono brani estremamente ardui da interpretare non solo per la difficoltà “tecnica” ma anche interpretativa. Solo Elvis poteva riuscire a tenere un controllo della voce così incredibile a più riprese ed in svariate interpretazioni. Ci si trova di fronte qualcosa che va al di là della sfera dell’immaginazione. In ciascuna di queste performances ci sono continui saliscendi e il crescendo finale.
Ciascun brano ha un significato interpretato alla maniera di Elvis, una fusione assoluta e totale fra la sua voce ed il testo di questi brani, ognuno di essi con una sua storia, passando dal tirare un bilancio sulla vita (“My Way” e “You Gave Me A Mountain”) arrivando al doloroso rimpianto amoroso (“What Now My Love” o “It’s Over”), fino all’apoteosi verso il finale in cui il sentimento verso la propria patria viene esploso in quel tripudio di emozioni che è la trilogia americana, “An American Trilogy”, in cui Elvis strappa letteralmente il suo cuore attraverso la sua voce, e lo fa donandolo al pubblico presente e alla moltitudine di telespettatori che lo videro in diretta, in mondovisione.
Solo Elvis poteva fare questo, caricare la sua orchestra alzando il pugno e catturando chi lo vedeva e lo ascoltava fino alle lacrime.
Dal punto di vista vocale si resta ipnotizzati ad ascoltare “I’ll Remember You”. E’ pura dolcezza vocale, un gioiello di dolcezza mescolato ad un tecnica impeccabile con cui ringrazia il suo autore come solo lui sapeva fare, donandogli una carezza nel cielo in quei due minuti di pura malinconica poesia vocale. Poco prima, lo aveva fatto al pubblico mostrando sincero apprezzamento le donazioni raggiunte per la Kui Lee Cancer Fund.
Senza voler essere retorici, lo possiamo dire: queste cose le poteva fare solo Elvis Presley.
“Aloha From Hawaii” è il momento perfetto per la sua solennità che al suo interno trova degli spazi per la simpatia, la dolcezza, l’alleggerimento e l’ironia. Come non pensare a “Something”, una delle più belle canzoni dei Beatles che Elvis omaggia trovando il tempo di regalare un sorriso furtivo e compiaciuto a Kathy Westmoreland appena attacca il suo primo passaggio (esattamente dopo il passaggio “Somewhere in her smile she knows”) e la conclusione finale alla sua maniera con l’occhiolino come dire, “si, ci è venuta davvero bene questa!”
Abbiamo spazi per le risate, come in “Love Me” quando si batte il microfono sul petto e sorride divertito allo stesso modo quello sguardo sorridente e compiaciuto nel finale di “Steamroller Blues” unito all’immancabile gesto con cui si rivolgeva a Glen Hardin, lanciandogli simpaticamente un bicchiere d’acqua durante l’esecuzione di “A Big Hunk Of Love”, forse il rock and roll più riuscito dello spettacolo.
Troviamo sensualità. Tanta, incontenibile, debordante, quando ammicca divertito durante “Fever” come a trovare spazio per ogni tipo di momento, un incastro perfetto all’interno del momento perfetto che trova il suo culmine nel finale con un re inginocchiato davanti al suo pubblico, nel finale di “Can’t Help Falling In Love”, per poi andarsene dopo aver salutato tutti.
Concludiamo questo viaggio con una riflessione: Elvis Presley pochi giorni fa è stato celebrato per il suo novantesimo compleanno. Ne hanno parlato in molti. Non tutti purtroppo lo hanno fatto celebrando la sua arte ma ahimè soffermandosi al solito sugli aspetti negativi unendo un concentrato di cattiveria gratuita ad un mare di inesattezze sulla sua carriera e sulla sua vita.
Nulla di nuovo. Qui in Italia è cosi da sempre e combattere coi mulini a vento riusciva bene al Don Chisciotte.
Non è obbligatorio peraltro essere appassionati di Elvis, ma non lo ha scritto nemmeno il dottore che se ne debba parlare male in maniera gratuita e preconcetta.
Consiglio a coloro che anche pochi giorni fa non hanno esitato a sparare a zero sull’uomo ed artista Elvis di guardarselo l’Aloha From Hawaii. E studiarselo, passo dopo passo. La conoscenza aiuta. Forse verrebbe voglia pure a loro di percorrere questo viaggio hawaiano e di rimanerne estasiati come lo siamo tutti noi che lo amiamo.
Elvis Friends Fan Club Italia