Mi è difficile amici riprendere a scrivere delle recensioni. Non perché lo sia in senso stretto, ma è solo per il fatto che non lo faccio più da anni e per me è un gradevole quanto intrigante ritorno al passato, quando iniziai a concepire i miei primi pezzi per la fanzine dell’Elvis Friends Fan Club Italia vent’anni fa esatti.
Ma questo non ha nessuna importanza. Ciò che è realmente importante è Elvis Presley.
Circa un annetto fa, nel novembre del 2020, veniva pubblicato questo gioiello di cofanetto dal titolo semplice ed emblematico, “From Elvis In Nashville”, un tomo musicale di 4 CD con sostanzialmente tutto quanto inciso da Elvis in quattro lunghi ed intensissime giornate di lavoro, fra il 4 e la notte a cavallo del 9 giugno del 1970. In totale 35 brani, più altri quattro incisi il 22 settembre del 1970 in cui Felton Jarvis, il produttore storico di Elvis, decise di prenotare nuovamente lo studio B di Nashville per completare quanto già prodotto tre mesi prima.
Chi ama Elvis da sempre sa che le session di Nashville dell’estate del 1970 viene definita dagli addetti ai lavori, esperti, appassionati sfrenati come noi, “The Nashville Marathon”, tanto che fu intitolata così la prima raccolta di takes alternative per la Follow That Dream, etichetta per collezionisti elvisiani, parecchi anni fa.
Questa confezione di 4 CD, dal prezzo accessibile direi per tutti (circa 40 euro) ha fatto trascorrere a tutti noi, in un periodo durissimo per il Covid, un Natale gioioso e pieno di speranza malgrado le chiusure, l’isolamento, la paura che ha avvolto tutti noi lo scorso inverno.
Ma con la musica di Elvis tutto passa. O perlomeno diventa tutto meno pesante. Elvis è balsamo per l’anima di chi lo ama.
Amici, qui abbiamo, come già detto, quasi quaranta pezzi che sentiamo in qualità audio insuperabile. Il lavoro che è stato svolto dai tecnici del suono della Sony Music, un tempo RCA, (in particolare da Vic Anesini che questa volta si è semplicemente superato), può essere definito solo come strepitoso.
Alcune canzoni sembrano addirittura migliorate all’ascolto, più belle di quello che sembrava in origine nelle prime pubblicazioni su disco. Gli strumenti sono bilanciati alla perfezione e… ultimo ma non ultimo,
ovviamente, la voce di Elvis. Sembra di sentirlo in casa, vicino a noi, a un metro, certo, la materia prima era di tale qualità che il cuoco del suono, ovvero Vic Anesini, forse è stato facilitato nel preparare il piatto, ma si
tratta comunque di una pietanza succulenta che dopo ogni ascolto, dopo ogni assaggio uditivo oserei dire, diventa sempre più succulenta e prelibata.
Giugno 1970. Elvis è tornato alla grande sulle scene da un anno e mezzo col Comeback del ’68, le sessions di Memphis del 1969 , il ritorno live a Las Vegas, ed è ora in attesa di preparare la stagione estiva a Las Vegas
con il progetto That’s The Way It Is pronto in cantiere. Prima di questo grande evento da cui uscirà un documentario strepitoso e un disco bellissimo, Elvis va in studio a Nashville e ci regala delle perle
meravigliose che non faranno altro che rinforzare il suo mito, la sua leggenda, ormai riesumata dalla polvere della celluloide del decennio precedente (con questo non dico che tutto il periodo dei film sia da
buttare, tutt’altro, io adoro le colonne sonore dei film di Elvis, amo tutto dell’uomo di Memphis quando canta, ma certo la qualità di questo materiale è di ben altro livello ) per farla riemergere, illuminare, e
spiccare fino a rendere l’idea di quella frase che amo tanto ripetere e spero mi possiate concedere di replicare ancora adesso “L’Elvis del 1969-70 è irripetibile pure per se stesso”.
Quella magia iniziata un anno e mezzo prima nelle leggendarie sessions di Memphis continua qui, con una maggiore consapevolezza dei propri mezzi, una maturità artistica consolidata che lo porta a cantare con una semplicità disarmante, a regalare emozioni a profusione tanto che mentre vi scrivo sto ascoltando “How The Web Was Woven” e non mi vergogno a dirlo, ho i brividi lungo la schiena.
Vi piacciono le canzoni d’amore? Qui ne trovate a profusione e cantate dal più grande cantante melodico di tutti i tempi, un tempo definito in maniera quantomeno riduttiva “re del rock & roll” che come ben sappiamo è anche re del country, del gospel, del soul, di tutto ciò che gli capitasse a tiro di cantare perché sostanzialmente, come è risaputo, Elvis Presley resta l’artista più imitato e al tempo stesso più inimitabile di tutti i tempi.
Come non citare poi la struggente “ I’ve Lost You” (le cronache raccontano che il matrimonio con Priscilla in quel periodo iniziasse ad avere i primi importanti scricchiolii) “Twenty Days And Twenty Nights” e
tantissime altre.
Le canzoni sono tutte splendide. E non sto esagerando. Meglio di così è impossibile cantare. Siamo su livelli di eccellenza assoluta. Ora è il momento della splendida “The Next Step Is Love” e la voce di Elvis mi
accompagna nella scrittura, quasi a sentire la sua voce che mi sospinge al completamento di questo mio articolo.
Elvis Presley riusciva, come scrivo spesso, a trasformare le canzoni. Non solo prendeva quelle degli altri e le faceva diventare sue, questo è ormai assodato, ma cambiava i generi. Un esempio? Ascoltate “Where Did
They Go Lord”, classico brano country di Dallas Frazier.
Elvis lo incide nell’appendice del 22 settembre 1970 (gli altri tre brani incisi quella sera furono “Snowbird”, “Whole Lotta Shakin’ Going On”, “Rags To Riches” ) e lo fa diventare un Gospel, magari non tradizionale, ma
comunque un brano di spirito religioso con un’ interpretazione da brividi, intensissima, da far venire le lacrime agli occhi perché quando Elvis canta non canta semplicemente, racconta la storia della canzone in musica facendotela vivere e portandoti su un piano superiore, oltre la dimensione terrena, entrandoti nell’anima.
Lo stesso possiamo dire di “Make The World Go Away”, country storico cantato da mille artisti, Elvis la trasforma in una canzone d’amore cantata con una passione fuori dal comune.
Ciò che distingue Elvis Presley da tutti gli altri è che lui è qualcosa che va bene per tutti. Something for Everybody proprio come il titolo di un suo album degli anni sessanta. Ti piace il country? Ebbene, qui trovi
tantissimo country, tanto che uno degli album da cui vennero estratti dieci brani di questo cofanetto fu il bellissimo “Elvis Country”, forse il migliore della trilogia dei dischi del 1970 concepiti dall’estenuante maratona di Nashville. Gli altri furono “Love Letters From Elvis” e la parte in studio del “That’s The Way It Is”.
Ovviamente non posso parlarvi di tutte le canzoni, vi scriverei un articolo che sarebbe troppo lungo e forse noioso. All’interno c’è un bellissimo libricino informativo con tanti aneddoti dei musicisti (perlopiù
formidabili session men di studio, fra cui Norbert Putnam, Chip Young e Jerry Carrigan oltre a James Burton e David Briggs al piano) che vi invito a leggere. Purtroppo è in inglese, ma con un piccolo sforzo è possibile
capire cosa significasse per loro lavorare per e con Elvis Presley. Ve ne traduco solo alcune per non dilungarmi troppo. Il libricino merita un’attenta lettura perché si vive, mentre si ascolta contemporaneamente la sua voce, la session cosi come è stata esattamente concepita, emozioni, vita ed arte che vanno a braccetto.
“Si mise sul pavimento e ci raccontò tutte le sue storie. Era un grande “story teller” (Norbert Putnam)
“Avrebbe raccolto tutto il suo materiale. Avrebbe imparato le canzoni al momento e le faceva al momento durante la session” (Felton Jarvis)
“I washed my hands in muddy water” (trad. Mi sono lavato le mani nell’acqua piena di melma”) . Dovevo avere un po’ di melma nelle corde per creare quel suono cosi graffiante” ( James Burton)
Credo che ascoltare “Mary In The Morning” ti accarezzi l’anima in una maniera tale da non poter descrivere quello che si prova a parole. E’ un brano magico, come tanti altri qui dentro, poi si può discutere se siano
più belle le session di Memphis di un anno prima o queste, non lo so, io da “studente di Elvis Presley” come amo definirmi taglio la testa al toro e dico, salomonicamente e non perché non mi voglia sbilanciare, le adoro entrambe e le chiacchiere stanno a zero.
Quello che vi posso invece raccontare, con gioia, è che i brani che ascoltate sono come vennero eseguiti nello studio B senza le sovraincisioni postume, quelle che in termine tecnico venivano chiamati “overdub”, con l’aggiunta di altri strumenti, fiati e via discorrendo.
Questo tema è spesso divisivo fra gli appassionati di Elvis. C’è chi ama i pezzi “puri” cosi come vennero concepiti, altri li preferiscono come uscirono su disco all’epoca. E’ un fatto di gusto personale su cui non mi
esprimo. De gustibus non disputandum est.
Oltre alle canzoni “vergini” cosi come lavorate da veri e propri artigiani del disco (faccio mia questa fantastica definizione che udii in un’intervista televisiva tanti anni fa dal grande Sebastiano Cecere che saluto affettuosamente ), ci sono tante takes alternative di queste quaranta tracce nel terzo e nel quarto cd, dialoghi, alcuni divertenti, altri con un linguaggio un po’ colorito vedi ad esempio alla fine di “Got My Mojo Working” (non credo sia necessario tradurre!) con versioni alternative spesso assai vicine per qualità alle master presenti nei primi due cd.
Abbiamo la possibilità di sentire il nostro eroe al lavoro, sbagliare (era un essere umano anche lui anche se talvolta pareva non esserlo, specie quando attaccava a cantare) , ridere, scherzare, perfezionare il suo
lavoro con quella meticolosità pazzesca da unico ed inavvicinabile professionista.
Mentre scrivo è il momento di “I Really Don’t Want To Know”. Mamma che meraviglia. Dio che voce calda, avvolgente, in questa umida e piovosa giornata autunnale qui a Milano mi sento vibrare di pari passo mentre le mie dita rapide compongono questo scritto. E’ la magia di Elvis Presley.
In attesa del cofanetto in uscita fra due mesi, con le incisioni della primavera del 1971, sempre a Nashville, in cui avremo altre perle composite in una gioielleria musicale che spazia fra il Gospel, il country e le
canzoni natalizie (fatte incidere a Maggio con un Elvis chiaramente poco motivato, ma questa è tutta un’altra storia), riscopriamo questo gioiello di passione, magari in cuffia, al buio, con una luce soffusa che entra dalle fessure delle tapparelle, e ricominciamo a sognare, perché sognare con Elvis è la cosa più bella che ci sia.
Concludo questo mio scritto con una frase che ormai diverrà un leit motiv e so che alcuni di voi apprezzano.
La mia domanda è semplice quanto diretta: “Ma è realmente esistito?”.
Si, è realmente esistito, è stato , è e sarà per sempre il più grande di tutti.
Viva Elvis sempre amici.