’68 COMEBACK 50TH ANNIVERSARY
di Marco Lofino
C’è qualcosa di magico nel vedere un uomo che ha smarrito se stesso ritrovare la strada di casa. Ha cantato con quel tipo di forza che la gente non si aspetta più di trovare nei cantanti rock’n’roll. Il suo modo di muovere il corpo, deve aver reso Jim Morrison verde d’invidia” (John Landau)
Basterebbe questa frase nota agli appassionati di Elvis per descrivere il Comeback. Cinquant’ anni di magia, cinquant’anni dal più incredibile e maestoso dei ritorni in musica. Sappiamo tutto, forse inutile ricalcare, ma anche noi, spettatori entusiasti e mai esausti, ne rimaniamo sempre incantati.
Il comeback è unico ed inimitabile del suo genere. E’ il mio primo vero unplugged nella storia della musica , il ring in cui Elvis si ritrova a suonare coi suoi musicisti degli esordi, le risate, gli aneddoti (indimenticabile quando scherza con Scotty Moore affermando che fino alla sera prima non aveva mai aperto bocca, per poi chiedere ad Elvis di cantare “Lawdy Miss Clawdy”).
Mai visto un portento simile. L’Elvis del comeback è la quintessenza della superstar. Bello e sexy come non mai in quel vestito in pelle nera che è diventato pura iconografia presleiana applicata, la sua voce è un mix inarrivabile di forza, aggressività, sensualità e dolcezza. Roca e graffiante, è la voce del comeback, una delle sette otto voci che caratterizzano la sua impareggiabile parabola artistica pluriventennale.
La storia racconta che il Colonnello avrebbe voluto un semplice speciale natalizio. Per una volta Elvis non lo ascoltò. Grazie a Dio per una volta fece di testa sua. Ed oggi abbiamo un resoconto insuperabile di un uomo che stava davvero ritrovando la strada di casa, inarrestabile nel suo dimenarsi negli show in piedi, incredibilmente sexy e genuino in quelli che vengono definiti “sit down shows”.
Il pezzo che è l’emblema del comeback è “Baby What You Want Me To Do”. Un country rock vigoroso che è il comeback in tutta la sua essenza. Elvis è di una sensaulità dirompente nel riproporla svariate volte, anche abbozzandola, anche quasi improvvisandola in ciascuno dei segmenti. La sua voce è un graffio che ti entra nelle viscere, è un tepore che riscalda il freddo vuoto delle anime inquiete di chi ascolta.
Oltre a tutto questo, magistralmente cuciti e preparati, i segmenti di Gospel , la scena del bordello quasi a mettere insieme sacro e profano, un po’ un mostrare per certi aspetti la dicotomia della vita di ognuno di noi ed in particolare quella dell’uomo di Memphis che è stato un po’ tutto, unico nel cantare Dio ma al tempo stesso icona sexy e simbolo della ribellione di una generazione irripetibile come quella degli anni cinquanta.
Il finale “sociale” è la ciliegina di una torta già di per se succulenta ma che non smette mai di saziarci.
Ascoltate “If I Can Dream”, pezzo che non ha bisogno di presentazioni e ditemi se esiste qualcosa di più epico, di più verticale in quell’interpretazione cosi appassionata ed umana.
Un canto di speranza e di pace dalla voce del più grande artista di tutti i tempi.
Il re è tornato, il re è vivo e vivrà per sempre.